Domani nell’emisfero Nord arriva l’inverno, anche se avevamo già presagito il suo arrivo con le temperature che si sono abbassate e l’aria fredda che soffiava. Il solstizio invernale rappresenta il capodanno astronomico, la notte più lunga dell’anno, il momento in cui il Sole è al suo minimo splendore.
Solstizio deriva dal latino “sol stat”, che significa “il sole sta fermo”: il sole per tre giorni sorgerà sempre nello stesso punto, poi riprenderà la sua fase ascendente e le ore di luce aumenteranno gradualmente di giorno in giorno. Quindi per tre giorni il tempo sembra fermarsi e tutto pare sospeso, in attesa di una trasformazione.
A me piace la libertà delle stagioni: non si adattano ai nostri desideri, ma restano connesse alle loro necessità di luce e buio, calore e freddo, attività e riposo, ecc… E l’inverno altera completamente la nostra voglia di esibirci; Madre Natura ci invita ad imitarla prendendoci cura di noi, accogliendo la tranquillità, lasciando il ritmo frenetico all’esterno per goderci il silenzio interiore.
Rispettare questo momento di silenzio e calma è importante per rigenerare ciò che è stato produttivo per nove mesi: come un cespuglio non può dare fiori tutto l’anno, così noi abbiamo bisogno di centrarci nuovamente in noi stessi per poterci riattivare in primavera con una forza vitale rinnovata.
Le feste celtiche celebrano il solstizio invernale con Yule, il periodo della quiete, la festa della Madre dell’Aria. Il solstizio segna il giorno più corto e la notte più lunga dell’anno, il passaggio dal momento più buio al ritorno del Sole: la Dea dà alla luce il nuovo Sole, rinascendo dall’oscurità.
E se ci pensiamo, incontrarsi nell’oscurità del ventre di Madre Terra e credere nel ritorno del Sole era un momento importante e di grande affidamento per le società che, senza elettricità, dipendevano completamente da questo astro.
E questa rinascita del Sole è sempre stata celebrata in tutto il mondo: per esempio, per i gallo-celtici era Alban Arthuan, per i popoli nordici Jul, per i russi Karatciun (giorno più corto), ecc… A Roma si festeggiava il Natale dell’Invitto, “N. Invicti”: l’Invitto altri non era che il Sol Invictus, divinità solare introdotta dall’imperatore Aureliano (ma il culto del Sole c’era già da tempo grazie all’identificazione di Apollo con Helios e all’estendersi del mithraismo).
Il Natale del Sole Invitto era stato però fissato qualche giorno dopo il solstizio, al 25 dicembre, giusto quando il sole era salito percettibilmente sull’orizzonte dopo i tre giorni passati nella stessa posizione. Si celebrava con cerimonie, giochi e feste spettacolari che attiravano molti cristiani, tanto che la chiesa romana iniziò a preoccuparsi della straordinaria diffusione dei culti solari e del mithraismo, e alla fine pensò di celebrare nello stesso giorno il Natale del Cristo come vero Sole.
Con il solstizio, il Sole entra nel segno del Capricorno, inaugurando la stagione invernale. L’inverno è una fase di riposo della natura, di definitiva disintegrazione, ma sotto quella quiete sta per sorgere una nuova vita, e il Capricorno rappresenta la fase del seme che sepolto nel terreno si avvia alla sua nascita.
Il Capricorno è governato da Saturno, pianeta essenziale per la nostra crescita personale: rappresenta l’autorità, una sorta di padre interiore; è sovrano assoluto del sacrificio e della rinuncia, quindi il suo modo di agire a volte può essere duro, aspro e può portare a situazioni difficili, ma solitamente ci impone tagli e problemi che era necessario affrontare per migliorare la nostra situazione nel lungo periodo.
Proprio in onore del dio Saturno, nel periodo pre-solstiziale, nell’antica Roma si celebravano i Saturnalia: dapprima il 17 dicembre, poi per sette giorni, fino al 24 dicembre, cioè alla vigilia del Natalis Solis, festa solstiziale. Perché, come narra l’Imperatore Giuliano, “stabilirono questa festa non nel giorno esatto della conversione solare, ma nel giorno in cui il ritorno del sole, dal sud al nord, appare agli occhi di tutti”.
I Saturnalia erano la ricorrenza più festosa dell’anno: gli schiavi erano temporaneamente liberi di far quel che credevano, venivano scambiati doni, si eleggeva anche una specie di re di burla. Quel clima festoso celebrava la notte solstiziale, il momento di passaggio e di rinnovamento annuale; poi, intorno al IV secolo, gran parte di quelle celebrazioni vennero trasferite al capodanno.
Per concludere, potremmo quindi dire che ciò che veramente ci permettono il solstizio e il Natale, è la possibilità di celebrare la rinascita della luce dentro di noi e quindi poter percepire la luce cristica dentro di noi. L’energia cristica ci viene donata affinché possiamo ricordare che siamo esseri meravigliosi: siamo infinito tempo, infinito spazio e suono; siamo infinita vibrazione in eterna trasformazione e in eterno movimento; siamo pura coscienza e puro amore.
Buon solstizio, Francesca Zangrandi